lunedì 31 marzo 2014

Tacere o esprimersi

E' una guerra di intenzioni: tacere od esprimere il proprio pensiero?
Dunque, una guerra!

Nell'atto dell'esprimersi e/o nel tacere si crea un dialogo. Esistono 2 diversi tipi di dialogo: interno ed esterno. O meglio, quello interiore e quello proveniente da fonti....esterne.
Molto spesso, gli argomenti che creano il dialogo sono similari indipendentemente dalle fonti.
Dunque, e a ragione, potremmo sostenere che il nostro dialogo interiore non è così diverso dal dialogo interiore di un altro individuo.

Parimenti, potremmo sostenere che la necessità o l'opportunità di esprimere un nostro pensiero sia dettata dalla stessa necessità o opportunità da parte di un altro individuo.

Dunque, quali potrebbero essere le differenze o le sottili similitudini?

Tacere, è innegabile, non ci espone nei confronti del "mondo" giudicante. Tacere è un assicurazione preventiva verso la nostra innata idiozia, contro l'innata voglia di esprimere il nostro preziosissimo sapere, intuito, verità.
Tacere ci mette al riparo degli errori e al contempo ci regala un'aurea di mistica sapienza anche qualora questa non venisse compresa sino in fondo.
Tacere, l'azione del tacere, mette al riparo anche il nostro interlocutore: egli potrebbe non venire sopraffatto dal nostro finto sapere così da divenire egli stesso medico della sua persona.

Esprimersi, è innegabile, è naturale quanto restare in silenzio di fronte agli spettacoli della natura. Esprimersi è compromettersi, è uscire allo scoperto anche mostrando, o citando, le proprie debolezze. E' un atto di coraggio oltre che di ostentazione.
E' una possibilità di scoprire le virtù dialettiche o le proprie deficienze culturali. Esprimersi può inoltre costituire una possibilità, una veduta "esterna" per gli auditori.
Esprimere il proprio pensiero è stato fondamentale per la crescita del genere umano, se ognuno avesse taciuto non ci sarebbe stato confronto. E dal confronto nessuno possibilità di espandere le vedute.

Dunque, tacere od esprimersi?
Ancora una volta, il bushi conosce che tale atto rientra nella sfera delle sue responsabilità. Vittoria, sconfitta, onore, disonore, abilità, incompetenza, strategia, impudenza...poco importa. Un'azione non è il matematico viatico per un risultato positivo nè negativo. E' solo una interpretazione delle nostre responsabilità, delle nostre decisioni. Il contesto può avvalorarle o meno ma ciò è sempre opinabile.
Il bushi dovrebbe essere al di sopra di tale giudizio.
Eppure, esiste una chiave (leggasi emozione) che contraddistingue la nostra decisione tra tacere ed esprimersi: il rimorso. Ma questa, del bushi errante, è un'altra storia.

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